La tappa di Bologna prevista per il 27 febbraio è rimandata al 16 giugno e ha come focus Sfide, opportunità e innovazione per un agrifood sostenibile. Abbiamo intervistato Roberta Paltrinieri, professoressa dell’Università degli Studi di Bologna.
Il focus della tappa del Salone a Bologna sarà l’agrifood sostenibile. Se dovessimo descrivere in poche parole qual è oggi il volto della sostenibilità in questo comparto cosa potremmo dire?
L’integrazione della dimensione sociale e della dimensione relazionale e fiduciaria con le tecniche ambientalmente sostenibili credo possa rappresentare l’unico vero volto della sostenibilità in ambito agroalimentare. Oggi, infatti, la sostenibilità in ambito agroalimentare rischia di essere una sorta di Giano bifronte. In generale io vedo in questo comparto due approcci distinti alla sostenibilità (seppur non necessariamente contrapposti). Il primo insiste sull’innovazione tecnologica (parliamo ad esempio dell’agricoltura di precisione). Il secondo guarda più al recupero di una relazione “genuina” con la natura e di un rapporto fiduciario tra agricoltori e consumatori, spesso su base locale. Il primo approccio ha sicuramente più chance di essere applicato alla grande industria agroalimentare e, forse, di incidere su ampia scala sugli spetti ambientali. Tuttavia, nessun processo razionalizzato, basato solo su scienza e tecnologia, può ricucire la crescente sfiducia dei consumatori verso l’agribusiness (speso ne è proprio la causa) o contribuire da solo a integrare la dimensione sociale (lavoro, sfruttamento, caporalato…) con quella ambientale ed economica. E oggi queste due dimensioni, quella sociale e quella della fiducia, io credo siano fondamentali quando parliamo di sostenibilità delle filiere agroalimentari.
Il problema dello spreco alimentare continua ad essere un tema centrale nelle strategie di molte imprese e amministrazioni locali. Quale ruolo può avere l’università per contribuire alla lotta allo spreco più in generale?
Il tema dello spreco alimentare è un tema essenziale, di natura economica, ambientale e sociale ma anche chiaramente etica. Rendendolo un tema di dominio pubblico e contribuendo all’implementazione di pratiche e politiche volte alla sua riduzione e al recupero di potenziali rifiuti da destinare alle associazioni caritatevoli, proprio l’Università di Bologna ha portato l’Italia ad essere un benchmark in Europa. Inoltre, recentissime stime hanno valutato una riduzione dello spreco in Italia pari al 25%. Un risultato che non sarebbe stato possibile senza la ricerca universitaria e senza la crescente sensibilizzazione sul tema che ne è seguita.
Tuttavia, ancora molto rimane da fare, soprattutto in tema di educazione verso le nuove generazioni ma anche relativamente allo sviluppo di modelli agroalimentari alternativi. Un recente studio dell’Ispra, ad esempio, ha infatti valutato che modelli a filiera corta locale e solidale riescono a ridurre lo spreco alimentare anche di otto volte rispetto ai modelli mainstream.
In un suo libro di qualche tempo fa parla di “Felicità responsabile” analizzando il rapporto tra felicità e consumi: ci spiega meglio il suo pensiero?
La felicità o benessere individuale non è un progetto perseguibile in termini solipsistici: nessuno è felice da solo. Per questo il modello di consumo che è stato dominante negli anni non sembra non essere più sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma soprattutto socialmente e culturalmente. Come dicono gli economisti della felicità occorre spostare l’attenzione dai beni posizionali ai beni relazionali. Dal punto di vista sociologico significa promuovere tutte quelle buone pratiche e politiche di consumo che abbiano come obiettivo non la soddisfazione di un bisogno ma la promozione di capitale sociale ovvero relazioni. Pratiche e politiche sostenibili di consumo mettono al centro la cura e la preservazione di territori, di risorse scarse, di partnership non la deprivazione degli stessi. L’antispreco è un esempio molto concreto di come si genera una felicità responsabile, laddove essi riproducono e producono capitale sociale tra diversi attori del sistema sociale facendo da ponte tra i settori del mercato e la società civile.